Una riflessione sul criterio di interesse o vantaggio ex art. 5 d.lgs. 231/01 attraverso un’analisi di un caso pratico: Cass. Pen., Sez. IV, sent. n. 38363 del 9 agosto 2018.
In tema di responsabilità da reato degli enti, i criteri di imputazione oggettiva del reato, di cui all’art. 5, d. lgs. n. 231/2001, sono fra loro giuridicamente diversi.
– Il concetto di interesse è soggettivo ed attiene ad una valutazione ex ante rispetto alla commissione del reato presupposto.
– Il concetto di vantaggio è oggettivo ed implica l’effettivo conseguimento a seguito della consumazione del reato, e, dunque, si basa su una valutazione ex post.
Sicurezza sul lavoro
Il requisito dell’interesse dell’ente ricorre quando la persona fisica, pur non volendo il verificarsi dell’evento morte o lesioni del lavoratore, ha consapevolmente agito allo scopo di far conseguire un’utilità alla persona giuridica.
Il requisito del vantaggio ricorre quando il soggetto, pur non volendo verificazione evento, viola una norma di prevenzione e realizza una politica di impresa carente sulle procedure di sicurezza consentendo contenimento di spesa e massimizzazione profitto.
Il reato della persona giuridica si fonda su un fatto colpevole alla quale viene mossa un rimprovero non solo per aver ricavato un interesse, un vantaggio dalla commissione del reato, ma soprattutto per non avere adeguatamente adottato una politica atta a prevedere la commissione di reato verificatosi.
Normativa antinfortunistica
Tuttavia, è bene essere più precisi per quanto attiene i reati collegati al mancato rispetto della normativa antinfortunistica.
Infatti, in relazione ai reati colposi contro la vita e l’incolumità personale commessi in violazione della normativa antinfortunistica sui luoghi di lavoro, all’art. 25-septies, d.lgs. 231/2001, i criteri dell’interesse e del vantaggio devono essere indagati in riferimento alla sola condotta del soggetto agente, e non anche all’evento del reato.
Nello specifico i criteri dell’interesse e del vantaggio devono essere così intesi:
– il primo sussiste in ogni caso in cui la persona fisica penalmente responsabile abbia violato la normativa antinfortunistica con il consapevole e voluto intento di ottenere un risparmio di spesa per l’ente, indipendentemente dal suo effettivo raggiungimento;
– il secondo sussiste in ogni caso in cui la persona fisica abbia sistematicamente violato la normativa antinfortunistica, ricavandone, oggettivamente, un qualche vantaggio per l’ente, sotto forma di risparmio di spesa o di massimizzazione della produzione, indipendentemente dalla volontà di ottenere il vantaggio.
L’entità del vantaggio, che non può certo essere irrisoria, è rimessa alla valutazione del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità ove congruamente ed adeguatamente apprezzata.
Applicazione reale
La Cassazione, nella sentenza n° 38363 del 9 agosto 2018 ha ripercorso i criteri anzidetti applicandoli ad un’ipotesi di infortunio mortale conseguente ad asfissia all’interno di una cella frigorifera.
Nel caso di specie veniva riscontrato un risparmio di spesa per la mancata attuazione delle specifiche cautele antinfortunistiche e la realizzazione di un effettivo vantaggio dell’ente.
Nell’accertare la responsabilità dell’impresa e la sussistenza dei criteri di imputazione dell’interesse o vantaggio per l’ente, la Cassazione ha ricordato e precisato come le omissioni di tutela e la sottovalutazione dei rischi non possano che essere considerati come chiaro sintomo di scelte imprenditoriali volte al risparmio di spesa a dispetto degli obblighi di sicurezza gravanti sull’imprenditore a tutela sicurezza lavoratore.
Nel caso concreto le lacune sulle condizioni di sicurezza nello stabilimento oggetto d’incidente sono apparse ancor più gravi e meritevoli di sanzione poiché riguardanti ambienti di lavoro incompatibili con la vita. Nello specifico la Corte ha evidenziato rilevanti carenze:
– l’impossibilità per il frigorista di controllare a distanza né le condizioni delle celle, né l’afflusso di azoto;
– l’assoluta assenza di alcuna procedura di sicurezza, prevista soltanto per l’apertura delle celle alla fine del ciclo di lavorazione;
– la totale mancanza di sistemi di controllo e di allarme per segnalare la presenza accidentale di atmosfere pericolose in tutto il volume delle celle;
– la mancata considerazione della situazione critica nei vari documenti di valutazione dei rischi.
La condivisibile conclusione della Corte è quella di considerare il risparmio di spesa che si consegue attraverso la riduzione dei tempi di lavorazione quale obiettivo lecito e condivisibile nell’ottica del profitto dell’impresa, ciò che non è consentito è il raggiungimento di tale obiettivo attraverso la riduzione degli investimenti sugli strumenti cautelativi ovvero sui corsi di formazione (si è così espressa anche Cassazione Penale, Sez. 4, 17 aprile 2019, n. 16598).