La domesticazione del grano e i confini planetari
Tutto ha inizio da un quesito: quando è nato il nostro lavoro di tutti i giorni?
Mi piace pensare che la risposta giusta vada trovata circa 3.000 anni fa quando nella “mezzaluna fertile” è cominciata la prima vera e propria rivoluzione agricola nella storia dell’uomo, definita dall’archeologo australiano Vere Gordon Childe come “la rivoluzione neolitica”.
In realtà chiamarla rivoluzione è forse esagerato, diciamo che da quell’epicentro è scattato un lento e graduale cambiamento e condizionamento dell’ambiente da parte dell’intervento umano che si sarebbe poi espanso in tutte quelle zone che oggi chiamiamo Europa.
Questa transizione ebbe luogo in periodi diversi in varie aree del mondo e cambiò di fatto l’economia di sussistenza basata su caccia e raccolta alla coltivazione di piante e alla addomesticazione di animale.
Questa vera e propria rivoluzione ebbe profondissime conseguenze non solo sull’alimentazione umana ma soprattutto sulla struttura sociale delle comunità preistoriche: passammo infatti da comunità piccole e poco strutturate di nomadi a sviluppare comunità sedentarie che cresceranno nel tempo, strutturandosi in villaggi e città.
È stato il primo e vero proprio momento in cui l’intervento umano abbia cominciato, seppur molto lentamente, a condizionare l’ambiente manipolando l’ambiente naturale a proprio vantaggio.
Segni noti di società agricole sono le città sumere, che di fatto hanno anche segnato il passaggio dalla preistoria alla storia.
Il concetto di confini planetari
Per provare a spiegarvelo userò il concetto dei “confini planetari”.
Un gruppo di scienziati nel 2009 ha proposto questo metodo per definire uno “spazio operativo sicuro per l’umanità” (compresi i governi di tutti i livelli, le organizzazioni, la società civile, il settore privato…) come condizione preliminare per uno sviluppo sostenibile.
Il sistema di basa su prove scientifiche che dimostrano come le azioni umane dopo la rivoluzione industriale sono diventate il vero motore del cambiamento climatico globale che ha più la forma di un impatto di un meteorite che di un cambiamento geofisico (approfondimento qui: l‘equazione dell’Antropocene).
Secondo questo vero e proprio paradigma “trasgredire uno o più confini planetari può essere deleterio o addirittura catastrofico a causa del rischio di attraversare le soglie che causeranno cambiamenti ambientali non lineari e improvvisi all’interno dei sistemi su scala continentale-planetaria”.
Le nove priorità globali e il cambiamento negli anni
Il concetto di Planetary Boundaries identifica nove priorità globali relative ai cambiamenti nell’ambiente indotti dall’uomo. La scienza mostra che questi nove processi e sistemi regolano la stabilità e la resilienza del Sistema Terrestre – le interazioni tra terra, oceano, atmosfera e vita che insieme forniscono le condizioni dalle quali dipendono le nostre società.
Quattro dei nove confini planetari sono stati ora attraversati come risultato dell’attività umana: cambiamenti climatici, perdita dell’integrità della biosfera, cambiamento del sistema terrestre, cicli biogeochimici alterati (fosforo e azoto).
Due di questi, il cambiamento climatico e l’integrità della biosfera, sono ciò che gli scienziati chiamano “confini fondamentali“. L’alterazione significativa di entrambi questi limiti centrali porterebbe il Sistema Terra in un nuovo stato, nuovo stato che oggi è impossibile da definire (preoccupante direi).
Qui sotto trovate un breve video di come i nove confini sono cambiati da prima della rivoluzione industriale fino ai giorni nostri, credo che vi lascerà sicuramente da pensare.
Lo schema funziona molto semplicemente:
- un confine per ogni settore,
- tutto quello che è dentro al cerchio verde è in zona “sotto confine”,
- tra il verde e il rosso siamo in una “zona di incertezza” il rischio è in crescita,
- oltre il rosso siamo fuori dalla zona di incertezza, il rischio è alto.
di Gianluca Gualco
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