231 e gli infortuni sul lavoro
La l. 123/07 ha introdotto nel d.lgs. 231/01 l’art. 25septies e la responsabilità dell’ente è stata estesa anche all’omicidio colposo e alle lesioni colpose commessi in violazione delle norme sulla sicurezza sui luoghi di lavoro.
Statisticamente la maggior parte delle sentenze di condanna dell’impresa riguarda proprio la materia dell’infortunistica sul lavoro.
Tuttavia, sin dall’entrata in vigore dell’art. 25septies, sono sorte alcune perplessità poiché si dubitava della compatibilità tra reati colposi, caratterizzati dall’assenza di volontà dell’evento, con il requisito dell’interesse o vantaggio dell’azienda: come può un evento (la morte o le lesioni del lavoratore) non voluto dall’autore del reato essere fonte di interesse o di vantaggio per l’impresa?
La questione è ancora di vivo interesse tanto che la Cassazione è tornata di recente a fare chiarezza sul punto (Cass. Pen., sez. IV, 16.04.2018 n. 16713).
Una s.r.l. era incolpata ex art. 25septies in relazione ad un infortunio mortale coinvolgente un lavoratore che, impiegato nella sistemazione di una grondaia sul tetto in vetro di un capannone, cadeva a terra a causa del cedimento della lastra di vetro resina su cui si trovava.
Oltre alla società, venivano mandati a giudizio e condannati il legale rappresentante e il preposto per la sicurezza accusati di:
– non aver nominato RSSP,
– di non fornito adeguata formazione al lavoratore,
– di non averlo informato dei rischi
– di non aver monitorato la tenuta della lastra in vetro posta sul tetto dell’edificio.
La Cassazione conferma la condanna stabilendo che l’eventuale condotta colposa del lavoratore non esclude la responsabilità del datore di lavoro che è tenuto a prevedere e prevenire i rischi di infortunio attraverso la predisposizione di tutte le misure necessarie. Solo una condotta del tutto anomala, imprevedibile ed eccezionale del lavoratore può escludere la responsabilità del datore di lavoro.
All’impresa, invece, veniva riconosciuta la “colpa in organizzazione” e veniva condannata alla sanzione pecuniaria di € 258.230,00.
La Suprema Corte così argomenta:
– l’interesse dell’ente è un elemento soggettivo che richiede un accertamento ex ante: al momento della commissione del reato, la persona fisica agisce, non predisponendo le adeguate misure di sicurezza, non perché voglia l’evento (in quanto reato colposo, l’evento non è voluto) ma per portare un beneficio all’impresa;
– il vantaggio dell’ente è un elemento oggettivo accertabile ex post ed è rappresentato dal vantaggio economico effettivamente percepito dall’impresa per effetto della mancata adozione delle misure di sicurezza;
– per la responsabilità dell’ente, ai sensi dell’art. 5 d.lgs. 231/01, è sufficiente che vi sia anche solo uno dei due elementi;
– per coniugare i requisiti alternativi dell’interesse o vantaggio dell’ente con la non volontà dell’evento morte o lesione del lavoratore, occorre prendere in considerazione non l’evento del reato bensì la condotta, ovvero la decisione di non adottare le adeguate misure di sicurezza;
Pertanto l’ente risponde se la mancata adozione di cautele antinfortunistiche rappresenti una scelta orientata al risparmio dei costi d’impresa.
Per usare le parole della Cassazione: “ricorre il requisito del vantaggio quando la persona fisica, agendo per conto dell’ente, pur non volendo il verificarsi dell’evento morte o lesioni del lavoratore, ha violato sistematicamente le norme prevenzionistiche e, dunque, ha realizzato una politica d’impresa disattenta alla materia della sicurezza del lavoro, consentendo una riduzione dei costi ed un contenimento della spesa conseguente massimizzazione del profitto”.
Riconosciuta la responsabilità dell’impresa per la colpa in organizzazione, la Suprema Corte ricorda come l’ente avrebbe potuto evitare la condanna se avesse adottato ed efficacemente attuato modelli organizzativi idonei a prevenire il reato.